Quando si parla di libri di fantascienza, i primi grandi nomi che vengono in mente sono Jules Verne, precursore dei viaggi attraverso mondi inesplorati con il suo Ventimila leghe sotto i mari; Isaac Asimov, il padre indiscusso della robotica; H.G. Wells, che all’incognita dello spazio ha preferito il mistero del tempo; Frank Herbert, con il suo immortale Dune. E come dimenticare Mary Shelley, autrice del primo romanzo di fantascienza in assoluto?
Sono nomi che hanno fatto la storia di un genere amatissimo, e questo non glielo toglierà mai nessuno. Eppure è difficile non notare, in un’epoca sempre più cosmopolita, un elemento fondamentale: tutti gli autori che abbiamo appena citato appartengono alla sfera europeo-statunitense.
Non è certo una sorpresa: l’egemonia culturale dell’Occidente è uno dei tanti nodi venuti al pettine nel corso dei secoli, e in particolare nell’ultimo decennio, che ha visto un risveglio di coscienza collettivo partire dal basso per propagarsi fino a Hollywood (con risultati non sempre onestissimi e produttori che non sempre afferrano la consegna ma, ehi: piutost che nient l’è mej piutost).
Ma la fantascienza non è solo europea. La fantascienza non è solo statunitense. La fantascienza è un genere che si scrive in tutto il mondo, e oggi voglio parlarvi di una casa editrice in particolare che si dedica a diffonderla in Italia: Future Fiction.
Future Fiction è un’associazione culturale di promozione sociale fondata da Francesco Verso e Francesco Mantovani. Il progetto ha l’ambizione di mappare gli altri “domani” declinati da ogni cultura e tradizione, divulgando la fantascienza di più di 30 paesi diversi e traducendo per la prima volta opere di cui, senza la fervente attività editoriale dell’associazione, non conosceremmo neppure il nome.
No, davvero.
Pensate che esageri? Benissimo: alzi la mano chi sapeva che esiste la fantascienza turca. O indiana. O africana. Ora, io sono una maniaca della fantascienza, del tipo che il mio modello di vita è Susan Calvin e che, se un domani uscisse fuori una petizione per legalizzare i matrimoni tra umani e robot, potreste star certi che l’ho pubblicata io. Eppure io queste fantascienze (al plurale, perché di pluralità qui si parla) non le avevo mai sentite nominare.
Pare naturale, a pensarci, che ogni paese abbia un proprio filone di fantascienza: ma, appunto, a pensarci. Altrimenti non passa neanche per l’anticamera del cervello. Si può essere le persone più aperte del mondo e comunque il retaggio coloniale sarà sempre lì, a metterci i paraocchi davanti all’ovvio e, tante volte, al bello.
Però, oggi, quei paraocchi ce li togliamo. E lo facciamo con 5 libri di fantascienza targati Future Fiction e selezionati dalla libreria Incipit23.
Nebula, AA.VV. (Future Fiction, 15€)
Dall’invecchiamento della popolazione ai cambiamenti climatici, dall’istruzione di massa all’impatto dei social network, le storie immaginate da Liu Cixin, Xia Jia, Chen Qiufan e Wu Yan mostrano una Cina lontana dall’Occidente per costume e sensibilità, ma simile nelle realtà economico-sociali e così tecnologicamente avanzata da restituire uno sguardo sul futuro che attende il mondo intero.
Parto giocando in casa: quest’antologia in doppia lingua l’ho scoperta a un corso universitario di letteratura cinese e, da allora, me ne sono innamorata. La fantascienza cinese è, forse, il genere non-occidentale più conosciuto tra quelli presenti in questa lista, grazie al successo planetario (e forse, chissà, interplanetario) della trilogia Il problema dei tre corpi di Liu Cixin (che, buona notizia, sta per diventare una serie TV! Cattiva notizia: la stanno adattando gli sceneggiatori di Game of Thrones). Questo genere di fantascienza ha in realtà una storia inaspettatamente antica, che affonda le radici “ufficialmente” nelle traduzioni in cinese di Jules Verne ad opera di Lu Xun. Ufficiosamente, invece, la Cina esplora il fantastico nella letteratura già dal XVI secolo (vi dicono niente le parole Il viaggio in Occidente?). Per quanto riguarda invece la fantascienza cinese contemporanea, sarebbe facile parlarne come di un genere che si districa tra temi quali l’ipercontrollo sociale, le insidie sociali di una tecnologia pervasiva, le I.A. e tutte quelle cose che abbiamo visto in Black Mirror—ma sarebbe anche mostruosamente riduttivo. Leggere per credere.
Racconto preferito della libraia: Le bolle di Yuanyuan di Liu Cixin. Che parla di tante cose, ma per me è la millennial success story del futuro: Yuanyuan ha davvero detto “fa’ quello che ti piace e non lavorerai un giorno nella vita” e poi, giusto per gradire, con quello che le piace ci ha salvato la città.
Futurchia, AA.VV. (Future Fiction, 14€)
Tradotti per la prima volta in italiano da Ebru Sarıkaya in collaborazione con Ünver Alibey della Istanbul Copyright Agency, questi sette racconti firmati dalle migliori autrici e autori del genere restituiscono l’immagine composita di un paese sempre in bilico tra passato e futuro, unendo l’antico senso del meraviglioso dei miti e delle tradizioni turche con l’ingegneria genetica, la realtà aumentata, la distopia atwoodiana, le derive tecnocratiche del cyberpunk e l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Poche soglie sono più affascinanti e coraggiose da attraversare di quella che porta in Turchia.
“Il futuro è proprio qui; è molto più vicino di prima. Se è così, noi in quanto residenti in una regione molto complicata e difficile come il Mediterraneo orientale dobbiamo sviluppare nuove utopie per il futuro. E quindi dobbiamo iniziare oggi.” Così recita la citazione di Seran Demiral riportata sulla quarta di copertina di questa breve antologia. E già questo dovrebbe aprirci gli occhi su quante cose, in realtà, la Turchia abbia in comune con l’Italia: due paesi affacciati sul Mediterraneo, in bilico tra passato e futuro, con una storia pesante sulle spalle e un avvenire incerto davanti agli occhi. Ma Futurchia ci restituisce anche qualcos’altro: l’immagine unica di Turchia vera, viva, lontana dagli stereotipi orientalisti e allo stesso tempo non occidentalizzata, legata a doppio filo a miti, tradizioni e leggende. Una fantascienza informata inevitabilmente dalle specificità della cultura turca da cui proviene. Quelle autentiche, però.
Racconto preferito della libraia: La donna gravida di Seran Demiral. Avete presente il dilemma dell’albero di fico di Sylvia Plath? Ecco: Irmak questo problema non ce l’ha più. In un certo senso.
Avatar, AA.VV. (Future Fiction, 16€)
India, futuro prossimo: questi nove racconti, come fili protesi verso il domani, esplorano il variegato arazzo della narrativa di speculazione indiana, toccando temi come l’avvento della biopolitica, i collegamenti tra i nuovi (social) media e il linguaggio, l’ascesa inesorabile di Big Data e algoritmi, la diffusione delle stampanti 3D, il riscorso sempre maggiore a protesi e potenziamento umano, senza tralasciare i rischi connessi all’uso delle biotecnologie e della sorveglianza informatica, per finire con i dilemmi filosofici posti all’immortalità dalla presenza degli avatar virtuali e l’emergenza climatica nell’era dell’Antropocene. Per provare a comprendere le questioni più impellenti dei nostri tempi dobbiamo rivolgere lo sguardo al futuro.
Io, ve lo confesso, ho una debolezza: la filosofia indiana. Sono mortalmente affascinata dal concetto di reincarnazione (pun intended) e dall’eterno ritorno simboleggiato dalla triade Brahma-Vishnu-Shiva. Quindi potete immaginare la faccia che ho fatto quando ho visto quest’antologia: una raccolta in doppia lingua che combina scenari futuri e un pensiero millenario; una linea continua in cui passato, presente e futuro si sciolgono l’uno nell’altro fino a diventare, insieme, Storia. Ma l’India è anche contraddizione: un paese diviso in orizzontale nei confini nazionali e nei trascorsi storici, e in verticale nei suoi precipitosi dislivelli sociali. Un mosaico socio-culturale che ha dato origine a una fantascienza senza compromessi, capace di trascinare secoli di contraddizioni alla luce del sole. E pretendere, senza mezzi termini, che la soluzione parta dal presente.
Racconto preferito: Sostituzione di Rimi B. Chatterjee. E ve lo spiego con una citazione: Metti i piedi a terra, tesoro. Pago per la tua istruzione, il che significa che mi appartieni. Cosa vuoi non ha importanza. Se Yuanyuan è ai miei occhi il trionfo del sogno millennial, la protagonista di questo racconto mi appare come l’altra faccia della medaglia: la quintessenza del disincanto capitalista.
Futuri uniti d’Africa, AA.VV. (Future Fiction, 17€)
Futuri uniti d’Africa è un’antologia di 18 racconti scritti dalle migliori autrici e autori provenienti da Nigeria, Botswana, Sud Africa, Rwanda, Malawi, Kenya, Uganda e Zimbabwe. Con le sue immense diversità e varietà di culture – dove natura, tradizioni e tecnologie si scontrano e fondono con risultati spesso contrastanti – l’Africa ha tanto da offrire al futuro dell’umanità.
Africa: una parola che contiene moltitudini. L’Africa è una, ma è anche tante: un continente vasto, vastissimo, che raccoglie al suo interno mille narrazioni diverse. Cosa di cui, a volte, ci dimentichiamo. Futuri uniti d’Africa è un inno al futuro, forse più di qualsiasi altro testo tra quelli descritti, perché a braccetto con le rivoluzioni tecnologiche vanno anche le speranze di affrancamento da un passato—presente—profondamente segnato dal colonialismo. La fantascienza africana, già solo con la sua esistenza, ribalta le aspettative coloniali: quelle che vogliono un’Africa stereotipata, appiattita, incastonata in un’immagine che ormai non è più vera (se vera lo è mai stata).
Racconto preferito della libraia: Modi nuovissimi (di perderti un’altra volta e un’altra volta ancora) di Blaize M. Kaye. Per tantissimi motivi, ma perché, in primis, cita apertamente la mia amata Bessie Head. Sono di parte? Sì, moltissimo.
Cuerpos, AA.VV. (Future Fiction, 16,50€)
Il tema che unisce le storie di quest’antologia è il corpo: corpo biopolitico e artificiale, umano e animale, desiderato e rifiutato.
In un’antologia che si discosta dalla tematica dell’emancipazione coloniale per portarci dei racconti con autrici e autori di provenienza mista, divisi tra la Spagna e il subcontinente dell’America Latina. Voci dal passato coloniale e colonizzato si uniscono, qui, in un coro arrangiato sulle note del corpo: il corpo biopolitico e artificiale, umano e animale, desiderato e rifiutato. E che cosa c’è di più accomunante, tra esseri umani, del corpo? Questi racconti sono una lettura che trasporta, che incanta… e che sferra più di qualche pugno nello stomaco.
Racconto preferito della libraia: Black Isle di Marian Womack. C’è qualcosa, in questo racconto, che mi ha ricordato un po’ l’inizio de La gabbianella e il gatto: la natura che muore per mano umana. Ma, in Black Isle, il favore è più che restituito.